Prevenzione e trattamento del mal di testa: il contributo della psicologia

di Maria Cristina Zunino
psicologa

mal di testa

 

Il “mal di testa”, o cefalea, è uno dei disturbi più comuni e può assumere forme diverse: l’International Headache Society, nella sua “Classificazione Internazionale delle Cefalee” pubblicata nel 2004, ne ha identificato 13 tipologie principali, suddivise in due macro-gruppi:

  • le cefalee “primarie”, oggetto del presente articolo, in cui il mal di testa è un disturbo autonomo, non legato ad altre patologie. Si tratta quindi di “malattie” vere e proprie, per le quali spesso non viene rinvenuta una causa organica e considerate benigne perché non causano danni neurologici permanenti né conducono a morte. Tuttavia esse possono essere così invalidanti da compromettere, in modo anche grave, la qualità di vita del soggetto in ambito famigliare, lavorativo e sociale. Le forme più frequenti sono l’emicrania, la cefalea di tipo tensivo e la cefalea a grappolo.
  • le cefalee “secondarie” (“sintomatiche”) in cui il mal di testa è un “sintomo” cioè la conseguenza di una ben definita e precisa malattia primitiva (ipertensione arteriosa, sinusite, trauma cranico, artrosi cervicale, malattie della bocca, allergie, lesioni cerebrali, etc.).

Si calcola che tra il 60 e il 90% degli individui manifesti un attacco di cefalea primaria almeno una volta all’anno. Il mal di testa colpisce prevalentemente gli adulti tra i 25 e i 55 anni (quindi la popolazione economicamente più produttiva), ma non risparmia neppure bambini, adolescenti e anziani. E’ presente con maggiore frequenza tra le donne (si stima tra il 15% e il 18%) rispetto agli uomini (circa il 6%, con una maggiore incidenza, rispetto alle donne, della cefalea a grappolo).

L’emicrania e la cefalea di tipo tensivo sono le forme più frequenti. Secondo studi europei ed americani, la sola emicrania colpisce il 10-15% degli adulti. Sulla base di queste evidenze l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito l’emicrania severa al 19° posto come causa di disabilità (al 12° posto se si considera la sola popolazione femminile).

Anche i risvolti economici di queste patologie sono rilevanti. I costi diretti sono legati all’impiego di risorse per la prevenzione, la diagnosi e la cura (visite mediche, indagini diagnostiche, ricoveri, farmaci, terapie non farmacologiche, ecc.). I costi indiretti riguardano la ridotta capacità lavorativa ed i giorni di lavoro persi a causa della malattia. Vi sono infine costi non quantificabili, legati alla sfera psichica e sociale, per l’impatto emotivo che la malattia causa al paziente e ai suoi familiari.

Secondo i dati dell’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, il costo stimato (diretto e indiretto) di questa patologia in Italia è di circa 6 miliardi di euro l’anno. Per quanto riguarda il costo dovuto alla perdita di giorni di lavoro a causa delle cefalee, questo è stato stimato, a livello europeo, in 27 miliardi di euro all’anno.

Questi dati, davvero allarmanti, hanno fatto sì che negli ultimi vent’anni si siano riscontrate una maggiore attenzione nei confronti delle cefalee e una crescente consapevolezza, da parte di chi ne soffre, della necessità di considerarla una vera e propria patologia e come tale da non trascurare.

La psicologia si è confrontata con questo problema fin dai suoi esordi: già nel 1919 infatti lo psicoanalista Sandor Ferenczi aveva osservato e studiato quello che oggi definiamo il “mal di testa del week end”.

Un primo contributo decisivo venne negli anni ’30 da Harold G. Wolff, che approfondì le relazioni tra emicrania e caratteristiche di personalità, avviando un filone di ricerca tuttora molto vivace. Oggi si ritiene che il fatto di possedere determinati tratti di personalità non sia all’origine del mal di testa (secondo una relazione diretta di causa-effetto), quanto piuttosto costituisca un fattore di predisposizione alla patologia. Dal punto di vista psicologico, sono stati individuati alcuni fattori, correlati con lo stress, ritenuti predisponenti il mal di testa: problemi emotivi, lavorativi, affettivi, relazionali, ecc.

Gli studi scientifici più recenti dimostrano infatti che, sia per l’emicrania sia per la cefalea tensiva, lo stress può avere una forte incidenza sulla frequenza degli attacchi e sull’intensità del dolore. Queste evidenze hanno spostato il fuoco delle ricerche verso l’analisi delle strategie adottate dal soggetto cefalgico per gestire lo stress ed esprimere le proprie emozioni o, al contrario, la tendenza a reprimerle e affrontarle in modo inadeguato. Sotto questo profilo, tra le emozioni la rabbia è risultata di particolare rilevanza per l’insorgenza della cefalea.

Sono state raccolte evidenze relative a collegamenti tra cefalee e depressione (per una gestione non funzionale della propria aggressività) e tra ansia e cefalee (soprattutto cefalee tensive) dovute alla contrazione dei muscoli del collo, del cranio e delle spalle.

E’ stato inoltre dimostrato che intervenire sulle reazioni fisiologiche associate alle cefalee (come appunto la tensione muscolare o la vasocostrizione periferica, che provoca la sensazione di freddo, soprattutto agli arti) produce un significativo miglioramento della sintomatologia.

Nel corso degli ultimi anni sono state messe a punto in ambito psicologico, in una prospettiva che valorizza la relazione mente-corpo, diverse tipologie di intervento nel campo delle cefalee, a livello di prevenzione e di trattamento, sia nel paziente adulto sia nel bambino.

Obiettivi di questi interventi sono la regolazione di eventuali reazioni affettivo-emotive disfunzionali, il miglioramento della gestione dello stress e della qualità delle relazioni, il controllo e la modificazione delle risposte fisiologiche, la riduzione/eliminazione, quando possibile, del consumo di farmaci (soprattutto in soggetti quali bambini, donne in gravidanza, ecc.), l’acquisizione ed il mantenimento di stili di vita funzionali per la prevenzione della patologia.

Tra gli strumenti che sono risultati maggiormente efficaci per un approccio psicologico alle cefalee vanno segnalati la rilevazione del profilo psicofisiologico di stress associato al biofeedback training, il supporto psicologico, la psicoterapia, le tecniche di rilassamento, di assertività e di gestione dello stress.

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