Come può una contraddizione linguistica alimentare una pandemia


di Anna Laurin
psicologa

Una mascherina al cuore

La comunicazione umana non è come la matematica, parlare in modo chiaro ed essere compresi è ciò che normalmente si cerca di fare, ma essa è ricca di significati, una comprensione tra parlante e interprete perfetta è impossibile e sommare due parole può generare risultati diversi. Così è stato per la definizione ‘influenza pandemica’ data al Covid-19.

Gli studiosi di Pragmatica, la scienza che si occupa di come il contesto influisca sull’interpretazione dei significati, riconoscono che nella comunicazione esistono sempre due componenti: la natura verbale del messaggio e quella analogica, in sintesi vale a dire il significato letterale e quello emotivo-contestuale. Quando si pensa all’influenza si immagina una persona con tosse, raffreddore che trascorre il decorso del virus a casa senza conseguenze permanenti per poi ritornare alla vita di sempre; pensare ad una pandemia rievoca immagini di ben più grave entità che hanno a che fare con l’impossibilità di fermare il contagio e le sue conseguenze mortali.

La ricchezza e varietà della comunicazione umana permette accostando due parole cariche di significati opposti di rendere l’idea di certi concetti in modo più variopinto: quando si dice ad esempio ‘silenzio assordante’ c’è intento di permettere a chi ascolta di percepire il disagio di quanto una mancata comunicazione possa provocare nell’interlocutore, in questo intento è sottinteso un contesto ben preciso, che in questo caso potrebbe essere quello di attesa di una determinata risposta. Ma quando si accostano due termini contraddittori per motivazioni di mancanza di una definizione esistente, come nel caso del Covid-19 si genera estrema confusione. Il Covid-19 è un esempio unico nella storia dei virus, fa parte di un ceppo innocuo e conosciuto e nello stesso tempo possiede una capacità di trasmissione altissima e può determinare anche conseguenze molto gravi nell’uomo, definirlo ‘influenza pandemica’ è un ossimoro pericoloso.

‘Influenza pandemica’ è una definizione contraddittoria che crea un messaggio paradossale perché l’influenza non è considerata una malattia pandemica. Dalla ridondanza di questa definizione è nata la difficoltà di accettazione delle sue conseguenze sia a livello personale che a livello governativo. Ogni Stato che ne è stato colpito ha reagito quasi con gli stessi meccanismi di reazione all’informazione: negazione iniziale (come ha fatto il Regno Unito e continua parzialmente a farlo la Svezia), presa di coscienza e elaborazione (Studi per sequenziare il genoma, attivazione della ricerca del vaccino), strategie di difesa messe in atto a catena (chiusura di tutte le attività umane che prevedono il contatto), ricerca delle soluzioni (potenziamento delle unità di terapia intensiva e restrizione della libertà individuale).

La discrepanza del messaggio verbale da quello analogico ha ritardato la comprensione della situazione, impedendo un’azione consapevole delle persone: la buona pratica è tossire coprendosi il volto, lavarsi le mani, stare distanti dalle persone come si fa per una normale influenza stagionale, ma il messaggio emotivo è differente, coadiuvato dalle immagini trasmesse su internet e in tv della Cina, di persone che svengono per le strade, ospedali che vengono costruiti in pochi giorni per ricevere i malati, operatori sanitari vestiti come astronauti. La discrepanza tra i messaggi ha contribuito al diffondersi del virus e chi ha minimizzato ne ha pagato le conseguenze oppure ha propagato il virus senza essere sintomatico. Del resto i Governi hanno reagito con modalità dettate dalla contraddizione, attuando misure graduali solo vedendo salire i contagi e aggravarsi i malati, oppure pretendendo l’immunità di gregge, credendo nella possibilità di sviluppare presto un vaccino, cercando il capro espiatorio negli epicentri di diffusione; tutto ha alimentato un’interpretazione ambigua nelle persone, che, fino alla chiusura totale, hanno continuato a fare la vita di sempre. L’OMS ha dichiarato la Pandemia l’11 marzo e tutti i confini sono stati chiusi dietro alla propria porta di casa, ma ancora in luoghi vicini e lontani abbiamo persone che negano questa emergenza. Il risultato è che ora viviamo in un mondo chiuso, in cui non ci si riconosce per strada e l’emotività è nascosta dietro una mascherina, in cui il prevedibile è diventato imprevedibile. In questo mondo incerto dobbiamo cambiare le nostre abitudini e trovare significati nascosti. E’ quanto mai attuale il bisogno di una presa di coscienza delle capacità umane nell’interpretare e adattarsi alla situazione, focalizzando sempre l’attenzione al contesto, Gregory Bateson disse “Galleggiamo in un mondo che consiste solo ed esclusivamente nel cambiamento e l’unica cosa che noi possiamo fare è cercare di restare a galla in un mondo paradossale”.

Riferimenti bibliografici

Gregory Bateson, Verso un ecologia della mente, 1972

Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, 1967