Lo psicologo è inutile!

The doctor is in

di Sabrina Ravazza
psicologa psicoterapeuta

“Perché dovrei andare a raccontare i fatti miei ad uno sconosciuto? Me la posso cavare da solo perché non sono debole né tantomeno fuori di testa, dagli strizzacervelli ci vanno i matti….”
È la parte di una conversazione tra due giovani uomini, in bus, di buon mattino, quando verosimilmente stavano andando al lavoro, quando tutti andiamo al lavoro. Ho sentito solo questa breve parte del loro discorso, ma mi ha colpito e mi ha fatto riflettere. Primo perché, è vero che non c’è più privacy in generale, ma l’autobus non è certo l’ambiente più adatto a parlare di faccende personali, e poi per l’ora del mattino: decisamente presto. Allora mi sono fatta la fantasia che esistesse un problema abbastanza serio, o quantomeno una seria percezione di disagio da parte di questi due signori, o forse solo di uno. Da li la mia fantasia ha cominciato a galoppare e, da professionista della salute, mi sono detta che se tutti pensassero come il giovane della frase a nulla sarebbero serviti i mie cinque anni di università per laurearmi in Psicologia, altrettanto a nulla i diversi percorsi di tirocinio e ancora a nulla la specializzazione quadriennale in psicoterapia, per non parlare dei continui aggiornamenti presenti da anni  nella mia vita in alcuni dei miei week-end.
Forse però ha ragione quel giovane uomo, mi dico. In fin dei conti rispetto a chi si rivolge a me e mi mette in mano parte della sua vita e la sua intimità più profonda io sono una perfetta sconosciuta! Oltre tutto, come dichiaro durante il primo colloquio, non ho affatto la bacchetta magica capace di cancellare i problemi e dico anche che la maggior parte del lavoro è quella che deve fare la persona che ho di fronte e che io faccio solo da “guida esperta” nel percorso di esplorazione della sua vita . Che senso ha allora rivolgersi a una come me? Forse lo fanno persone deboli, oppure quelli che stanno tanto male che non sanno più dove sbattere la testa e che stanno tentando” l’ultima spiaggia”? Quel ragazzo nella sua logica ha visto lontano. Però, cavalcando questi pensieri, forse anche un po’ irritata all’inizio, osservo che mi sento bene. Sono serena e sicura. Continuo a pensare tranquillamente e così presto cominciano a sfilare di fronte a me tutte  le immagini dei miei pazienti che sono stati e che ora non vedo più perché stanno bene; tutti quelli che hanno concluso il loro percorso e hanno imparato a camminare da soli. Tutti quelli che sono arrivati con un sintomo e poi…. senza quasi accorgersene, il sintomo è andato via.  Mi tornano in mente le loro storie, le loro emozioni, i momenti in cui insieme abbiamo sperimentato i successi e gli scivoloni. Mi tornano alla mente anche le loro parole: “Mi chiedo perché mai abbia aspettato tanti anni….. la mia vita è cambiata. Ora capisco meglio cosa mi sta succedendo e ho la sensazione di capire anche gli altri e  tutto quello che succede….” oppure: “sono venuta qui per una lite…. poi ho cominciato a vedere tutte le altre parti di me che non andavano e che mi facevano star male….non lo sapevo e prendevo tante medicine…..” e così via. Ricordo queste persone e i loro sguardi riconoscenti, i loro pianti, i loro silenzi, i loro sogni e i loro obiettivi, le loro difficoltà, le loro resistenze, le loro logiche, i loro  segnali, la loro gravità certe volte. Mi tornano alla mente quelli che se ne sono andati, ma anche tutti quelli che sono tornati. Ripenso a ciò che abbiamo fatto insieme a tante persone, a come siamo stati insieme, a quello che ho insegnato e a quello che ho imparato da loro. E poi penso a quanti e quanti hanno piano piano sperimentato nuovi modi di stare, di pensare o di vivere la realtà. Modi che sono stati più funzionali ed equilibrati, rivolti ad un benessere che credevano perduto, oppure a quelli che costruiscono per la prima volta un loro benessere, mattoncino dopo mattoncino…. Allora comincio a pensare che il mio sia il mestiere più bello del mondo e provo allora a fantasticare un viaggio nella mente di quel signore che ha dato avvio ai miei pensieri…..
Ho immaginato che avesse un problema abbastanza importante tipo che avesse ricevuto una brutta notizia sulla sua salute o quella di un suo caro oppure che avesse perso qualcuno o che avesse un problema sessuale o che non sapesse più esattamente chi fosse e cosa fare o ancora che fosse stato licenziato o che non riuscisse ad aver il figlio desiderato da sempre. Doveva sentirsi male di certo. Impaurito, arrabbiato forse, impotente, con una grande confusione in testa e senza alcuna ipotesi di risoluzione del problema. Allora rassegnato, anzi con la convinzione che niente e nessuno avrebbe potuto aiutarlo. Che cosa vuol dire? Che sta male e che sente di non avere vie di uscita. Sta male è un dato di realtà. L’idea di non avere vie di uscita invece è una sua percezione, non un dato certo.  È solo una sua credenza  forse legata ad una visione rigida dell’esistenza che non gli permette di chiedere aiuto, forse dettata dalla paura di trovare davvero una via di uscita, forse perché ha una vergogna pazzesca e teme di essere giudicato male anche da me o forse si sente in colpa per avere quel problema o magari si sente ancora legato a stereotipi e pregiudizi comuni sugli psicologi, la psicologia, la psicoterapia……
Però scommetterei che se questo signore si slogasse una caviglia andrebbe in Pronto Soccorso a fare i raggi e poi dall’ortopedico, e se gli venisse mal di pancia andrebbe dal medico della mutua e forse anche dal gastroenterologo per capire un po’ meglio e farsi curare. Allora perché è tutto così complicato quando si parla della mente?
A istinto mi verrebbe da dire che la mente fa  ancora troppa paura e anche chi la cura fa paura!!! Paura che si scoperchi un pentolone forse e che venga fuori chissà quale mostro….paura che si frantumi e che gli altri ne abbiano paura e la attacchino criticandola… Al punto che è meglio tenersi il malessere sperando che poi passi da solo, prendendo magari qualche pillolina  che illuda di mettere a posto le cose…
Ma torniamo al giovane dell’autobus: vorrei tantissimo andare vicino a lui, sedermici accanto e passargli il messaggio che tanto si può fare per farlo tornare a stare bene. Che tutti nella loro vita attraversano periodi critici e che un aiuto in quei momenti non significa essere inadeguati o matti. Che nessuno lo giudica male per stare come sta e fare quello che fa o ha fatto. Che cambiare si può, andando verso situazioni più equilibrate e di benessere. Che l’esperienza di una relazione in psicoterapia è l’essenza della cura per la mente e per la vita. Mi piacerebbe che sapesse che anche il dolore più grande può essere guarito e che forse si possono imparare nuovi modi per guarirsi. Vorrei anche passargli l’idea che tutto ciò che potrebbe venir fuori appartiene a lui e perciò non ci può essere alcun pericolo, basta trovare un modo per osservarlo e farci amicizia. Mi piacerebbe  dirgli di non sprecare queste  grandi opportunità e di fidarsi, di provare ad aver fiducia in un altro e in sé stesso….almeno per questa volta .
Accompagnata da queste fantasie non mi accorgo di essere arrivata allo studio per cominciare una nuova giornata con le persone che vedrò oggi.

 

Sabrina Ravazza - psicologa GenovaSabrina Ravazza
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