Paura, fango e poi… quel che resta passata l’emergenza

di Mariacamilla Barabino
psicologa

Alluvione Genova 9 ottobre 2014

A distanza di pochi giorni dall’alluvione la vita all’esterno sembra essere tornata alla normalità. Gli angeli del fango sono  tornati alle loro attività, le televisioni non parlano più dell’evento e le strade ricominciano ad avere l’aspetto consueto. Eppure se si guarda meglio si vedono ancora i volti di commessi e commercianti stanchi, esausti, scorati, con un velo di tristezza e di rabbia che li attraversa.
Le conseguenze della calamità che si è abbattuta su Genova sono ancora in atto e non solo per le persone colpite direttamente dall’evento. Certo le persone esposte direttamente ai pericoli e al rischio di vita hanno più probabilità di avere una risposta da stress importante rispetto agli altri ma non bisogna dimenticare che ogni persona coinvolta ha un vissuto personale e unico della calamità e una storia di vita che può influire notevolmente sull’impatto che si avrà nella persona. Le dimensioni dell’effetto di una calamità sulla popolazione sono molto più ampie si quanto ci si possa aspettare, esistono infatti diversi livelli di coinvolgimento che possono essere così sintetizzati:

  • vittime primarie: sono le persone esposte direttamente a qualche aspetto della calamità;
  • vittime secondarie: sono le persone che hanno stretti legami familiari o personali con le vittime primarie;
  • vittime terziarie: sono le persone che devono intervenire sulla calamità a causa del lavoro che svolgono;
  • vittime di quarto livello: sono i membri della comunità al di fuori dell’area colpita che in qualche modo si sono interessati o occupati dell’accaduto. (Taylor e Frazier, 1989)

Tutte queste tipologie di vittime possono avere delle ricadute in termini di stress.
A volte nelle mie esperienze come psicologa delle emergenze mi sono sentita dire frasi del tipo  “io non ho problemi, non ho avuto danni né perdite e la mia casa era al sicuro” nel volto era presente la paura, la tristezza, la partecipazione emotiva ma allo stesso tempo veniva espresso quasi un senso di colpa per provare quelle emozioni.
Le emozioni  governano e dirigono tutta la nostra vita: comprendere le emozioni che si scatenano nelle emergenze, prenderne consapevolezza ed avere la possibilità di esprimerle è sicuramente uno dei fattori protettivi rispetto alla formazione di risposte reattive disfunzionali.
È importante che le persone riconoscano che la maggioranza delle reazioni da stress rappresenta la normalità .
Allo stesso tempo è  importante lavorare nell’immediato post emergenza sui segnali di disagio evidenti o sommersi della popolazione per dare la risposta e il  contenimento di cui le persone hanno bisogno. Subito dopo l’emergenza c’è un’alta frequenza di reazioni di stress lieve e moderato, le persone riconoscono il grave pericolo che la calamità ha comportato e, anche nei casi di risposte che provocano sofferenza, la maggior parte delle persone si riprende pienamente in un arco di tempo compreso fra i 6 e i 16 mesi.
In risposta alle situazioni di emergenza esistono reazioni comportamentali, biologiche, psicologiche e sociali che si possono osservare in gradi diversi nella popolazione colpita. Ognuna di esse ha un valore protettivo e di difesa, hanno una funzione specifica nella ripresa di un senso di padronanza della situazione ma possono diventare paralizzanti se superano una soglia limite. Capire in quale stato ci si trova e cercare l’aiuto più adatto diventa quindi importante ma spesso difficile se non si hanno delle indicazioni.
Le reazioni immediate allo stato di calamità sono di disorganizzazione e disorientamento, si provano sentimenti di vulnerabilità, senso di impotenza, incredulità e bisogno di isolarsi. Dopo una prima fase confusa le reazioni diventano più chiare e articolate ma si possono aggiungere sintomi fisici come disturbi del sonno, senso di affaticamento o iperattivazione, cefalee ricorrenti, problemi somatici e sintomi cognitivi con una minorata capacità di concentrazione e memoria, calo del senso di autoefficacia e preoccupazioni di varia natura. L’essersi trovati al centro di catastrofi naturali può generare in una persona la paura specifica di quella situazione, mentre in un soggetto particolarmente ansioso può innalzare la soglia di suscettibilità, estendendo lo stato emotivo a situazioni analoghe o differenti.
Se non si gestiscono o peggio si ignorano questi segnali, il territorio fisico e/o psichico continuerà ad esprimere la sua emergenza e costruirà allora un sintomo per segnalare che un equilibrio preesistente l’evento traumatico è stato sconvolto.
Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) è l’espressione più grave di reazione al trauma. È  caratterizzato da una sintomatologia persistente e di livello più grave rispetto alle reazioni citate in precedenza alle quali si aggiungono ricordi intrusivi spiacevoli, incubi ricorrenti e una reattività più alta a stimoli che in qualche modo possano ricondurre alla memoria dell’evento.  Una peculiarità del DPTS è che può presentarsi anche a distanza di tempo dall’evento traumatico. La sua durata può essere variabile da un minimo di un mese fino a diventare cronico, in questo caso arriva ad introdurre modificazioni cerebrali sul circuito della paura che risulta essere quindi iperattivato.
Un elemento importante che incide sulla probabilità di manifestare risposte da stress post-traumatico è la “forza della stimolazione” cioè quanto più si vedono immagini stressanti, si percepiscono odori stressanti, si odono suoni stressanti o si hanno lesioni fisiche, allora tanto più sarà probabile che si manifesti il disturbo.
A questo si aggiunge  il protrarsi delle condizioni che hanno portato all’evento nei giorni successivi al disastro. L’esempio più eclatante è il terremoto nel quale, dopo la scossa principale che provoca lo stato di calamità, si susseguono scosse di assestamento che possono durare anche per mesi. In questo caso lo stato di allerta e di attivazione rimarrà in azione per molto tempo andando ad imprimersi nella memoria delle vittime in modo indelebile.
Nell’ottica di una prevenzione delle ricadute  psicofisiche e dei disturbi conseguenti ad eventi calamitosi l’informazione alla popolazione e la possibilità di avere un punto d’ascolto al quale rivolgersi se si hanno dei dubbi per sé o per i propri cari, con una particolare attenzione agli anziani e ai bambini, diventano una risorsa fondamentale.
Per questa ragione abbiamo deciso come “Psicologia in Liguria“, di renderci disponibili nei mesi di novembre e dicembre 2014  organizzando incontri informativi con la cittadinanza con possibilità di confronto individuale in loco e offrendo un colloquio orientativo gratuito, uno spazio dove potranno essere accolti i vissuti, le emozioni, le preoccupazioni e i quesiti delle persone coinvolte a vario titolo nell’alluvione.

Gli psicologi con i quali è possibile effettuare il colloquio li trovi su:

http://www.psicologiainliguria.it/events/alluvione-paura-fango-e-poi

 

Psicologia in Liguria
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Mariacamilla Barabino
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